La piaga dell’uranio impoverito (UI) si sta diffondendo in Iraq. Il metallo pesante utilizzato nelle munizioni usate da Stati Uniti e Regno Unito nelle due guerre del Golfo (1991 e 2003), non è stato bonificato e continua a contaminare il territorio, le persone e gli animali.
Lo sostiene uno studio della onlus olandese IKV Pax Christi, attiva nell’assistenza ai civili coinvolti nella guerra, e finanziato dal Ministero degli Esteri della Norvegia.
Solo nella guerra del 1991, sul territorio iracheno sono stati disperse sotto forma di munizioni esplose, oltre 286 tonnellate di uranio impoverito. Nel 2003 vi si sono aggiunte almeno altre 116 tonnellate. La stima realistica totale però è di 440 tonnellate, sebbene alcuni funzionari dell’Unep (Programma Onu per l’Ambiente) parlino di una cifra tra le 1000 e le 2000 tonnellate.
Le autorità irachene prima del 2003 non avevano né conoscenze, né strumenti per bonificare l’uranio. Nello stesso tempo registravano numerose patologie infantili dovute all’UI. Dopo la caduta di Saddam Hussein e l’invasione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Usa, proprio le autorità militari occupanti sono rimaste reticenti sull’utilizzo delle munizioni con l’UI e sulle aree contaminate. La bonifica sarebbe stata minima, se si calcola che per ogni sito i costi vanno dai 100 ai 150 mila dollari.
Secondo IKV Pax Christi vi sono circa 365 siti contaminati noti. Molti di più se si contano anche quelli sospetti. Si trovano soprattutto attorno alle grandi città (Baghdad, Basrah, Nasiriyah, Najaf, Fallujah), dove i carri armati distrutti con le munizioni all’UI non sono stati rimossi e sono diventati parco giochi per i bambini. L’Onlus olandese raccoglie inoltre prove in cui le munizioni sono state utilizzate contro palazzi in zone urbane densamente popolate.
Laddove i rottami rimossi sono trattati come ferro vecchio, e spesso viene riutilizzato sebbene radioattivo e tossico. La catena alimentare (allevamenti e agricoltura) in molte aree sarebbe contaminata, e il commercio sta allargando la contaminazione anche in aree dove l’uranio impoverito non è stato usato.